Poesie dal 1987 alla fine degli anni ’90
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A cura di ALBERTO BARINA
Una delle prime parole che mi viene in mente pensando alla poesia di Fabio Pedrazzi è sicuramente “giustizia”.
Il poeta crea con le parole, crea spesso un mondo in cui desidera vivere e rifugiarsi; un mondo lontano dai clamori e che diventa semmai occasione contemplativa di sé e di ciò che lo circonda e che di conseguenza ritrova una “retta via” che infonde quella “pace/giustizia interiore” tanto agognata e ricercata.
I due temi principali che si rincorrono nelle liriche di Pedrazzi sono l’amore e la natura (del resto come ogni buon poeta che si rispetti), ma sarebbe più opportuno dire l’amore per la natura.
Numerose sono le liriche che hanno per protagonista la donna amata, idealizzata, ammirata a cui il poeta offre un amore e un sentimento incondizionato, totalizzante; una donna che spesso si fonde in una sorta di comunione panica con elementi della natura e che assurge al ruolo di eroina (talvolta sfuggente ed evanescente), in bilico appunto tra contemplazione e desiderio (erotico).
Non diversamente accade con la descrizione minuziosa dei paesaggi. Lo sguardo del poeta si muove con “dettaglio cinematografico”, descrivendo luoghi in una quasi totale immersione (pacifica) nell’ambiente naturale prevalentemente privo di elementi antropici.
Semmai la presenza umana diventa pretesto per rincorrere con nostalgia un tempo passato, oramai esule, oppure per attestarne i cambiamenti intercorsi negli anni – non sempre in una accezione positiva – per mano dell’uomo.
È indubbio che le atmosfere descritte risentano di una poetica molto vicina ad autori moderni e contemporanei; mi viene in mente Eugenio Montale e forse ancora di più lo stile “asciutto” di un Cesare Pavese, ma sicuramente anche Giovanni Pascoli e la “natura matrigna” di Giacomo Leopardi hanno lasciato echi nella scrittura di Fabio Pedrazzi.
Un discorso a parte meritano invece le poesie raccolte nella sezione “Dieci poesie per il Sudafrica”.
Qui l’argomento dibattuto è lo sdegno per la politica dell’Apartheid, e lo sdegno è totale, netto, incontrovertibile.
Pedrazzi attraverso versi (spesso forti e crudi), ci fotografa un momento storico (sicuramente spesso “lontano” dalla percezione e dalla visione occidentale del nostro vivere), fatto di nefandezze e ingiustizie (morali, umane, civili) – ecco che ancora più forte risuona la parola “giustizia” di cui poco sopra si diceva -.
Le liriche diventano potente strumento di denuncia di un mondo che non dovrebbe esistere (specie nella nostra confortevole modernità tanto rincorsa e acclamata), e non mancano di esprimere solidarietà e vicinanza a tanti Fratelli che sulla loro pelle hanno subìto i colpi di una storia brutale, inenarrabile.
Credo di poter dire dunque che questa raccolta antologica di Fabio Pedrazzi, ci dimostra ancora una volta – e ancora di più – quale sia il vero ruolo e il vero volto del poeta: quello di essere sensibile “radiografo” della realtà circostante… Cambiano i paesaggi, gli amori, la storia, ma il poeta non si esime costantemente dal sanguinare e gioire e ad essere un piccolo-grande punto (di riferimento), al centro del mondo mediato dalla sua anima.
Alberto Barina
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